Il crocefisso viene realizzato nel XVI secolo da un autore ignoto utilizzando un ulivo donato dalla famiglia Vorabbi. Inizialmente era posizionato su una parete della chiesa, poi posto nella nicchia a lui dedicata e infine, non si sa quando, è avvenuto il trasferimento all’altare maggiore.
( Cfr R. Vorabbi “Quattro passi nella storia di un paese. Vergiano di Rimini”)
La popolazione l’ha sempre onorato e il culto ha portato nel 1894, il 13 marzo a richiedere una “Compagnia del SS. Crocifisso” con fedeli aderenti che si impegnavano nella preghiera per i vivi e per i morti.
Nella memoria è ricordato per le occasioni in cui, in processione solenne veniva portato in cattedrale alla Madonna dell’Acqua o al Santuario delle Grazie per implorare la pioggia nei tempi di siccità e si dice che quasi sempre i fedeli siano tornati a casa accontentati.
Don Armando Zaccagni, morto negli anni ’90 e parroco di Vergiano, raccontava che l’ultima processione solenne era stata fatta nel 1954 al Santuario delle Grazie insieme ai parrocchiani di Spadarolo e di S.Lorenzo Monte. Partirono col sole e il sereno, appena rientrati in chiesa “cadde una pioggia abbondante”.
Ancora oggi il crocefisso viene portato in spalla in processione dagli uomini della parrocchia per venerazione, in maggio e in ottobre.
Osservando Gesù crocifisso da vicino, quando per la festa viene tolto dalla nicchia dell’altare maggiore e posto in chiesa vicino al presbiterio, si può notare una immagine equilibrata nelle sue parti, di colore marroncino tendente in alcuni punti al giallo. Rappresenta il momento di maggior sofferenza di Gesù. La magrezza del fisico, la posizione reclinata della testa, più chiara rispetto al resto del corpo, come davvero avviene per mancanza di sangue, ma soprattutto la lingua che sporge fra le labbra indicano che il Signore ha dato tutto sé stesso. La sofferenza è stata atroce, la vita è finita. Sembra riprendere la descrizione del profeta Isaia al capitolo 53 “Non ha apparenza o bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere”. Non ha, come tanti altri crocifissi la bocca o gli occhi, seppur socchiusi, sorridenti: è l’immagine del momento in cui Gesù affida il suo Spirito al Padre.
Ma proprio questa immagine di profonda sofferenza attira a sé: chi gli abbraccia le gambe, chi tocca i piedi, chi li bacia, chi li accarezza teneramente. Se ti avvicini con una grande tristezza o disperazione il Crocifisso sembra guardarti e dirti “Vedi ho sofferto anch’io come te” e questa vicinanza è così forte che nel tempo ha portato miracoli.
La prima volta che ne ho sentito parlare è stata da don Probo Vaccarini, morto centenario da poco, parroco della chiesa di Montecieco. Stavo facendo catechismo e lui è arrivato, aveva un appuntamento con il nostro parroco e mi ha detto: “Ma lei a catechismo racconta cosa ha fatto di miracoloso questo Crocefisso? Così si mise a raccontare che sua nonna poliomelitica era stata portata a piedi, dalla pianura, sulle spalle dalla madre, tutti i giorni per un’intera estate a prendere una benedizione da don Natale Villa e a fare una visita al Crocefisso chiedendo la grazia della guarigione. Un giorno la bambina è stata appoggiata sul sagrato, mentre la madre parlava con il prete, ad un certo punto altri bambini gridarono perché lei camminava. Era stata accolta la supplica!
Anche oggi l’incontro con questo Crocefisso porta delle consolazioni. In diversi mi raccontano della serenità
che acquisiscono quando possono, in occasione della festa, pregare da vicino il Crocefisso o quando
bussano al suo Cuore perché devono affrontare degli interventi chirurgici o delle gravi malattie. Dopo aver
deposto il proprio fardello, la propria preoccupazione ai piedi inchiodati del Crocefisso si sentono sollevati,
accolti, il loro sguardo è luminoso.
Dea Gualdi